Un marchio è decettivo quando è idoneo ad ingannare il pubblico, deve cioè essere capace di trasmettere un messaggio all’esterno. Per esempio, se si deposita il marchio “VERA PELLE” per articoli di calzature, che nella pratica vengono però interamente realizzate in materiale sintetico, l’inganno insito nel marchio è evidente. Al contrario, laddove un marchio dovesse essere di mera fantasia come nel caso del segno “AURORA” per articoli di cancelleria, non ci sarebbe rischio di decettività. In quest’ultimo caso, infatti, il segno “AURORA” non comunica alcuna informazione al consumatore e, quindi, quest’ultimo non potrà essere tratto in inganno. La marchiatura “CE” prevista dalla direttiva 2006/42/CE, che disciplina una serie di prodotti destinati ai consumatori finali, garantisce al cittadino europeo la conformità dei dispositivi agli standard di qualità e sicurezza fissati dagli organi comunitari. Tale marchio ha dunque la funzione di tutelare gli interessi pubblici della salute e sicurezza dei consumatori e, pur non essendo un marchio di qualità o di origine, costituisce un «marchio amministrativo» che segnala la libera circolazione di quel prodotto nel mercato unico europeo. Pertanto, precisa la Cassazione, se tale marchio dovesse risultare falso o ingannevole, il comportamento del colpevole sarebbe rilevante ai fini penali e costituirebbe reato di frode in commercio. Tale marchio infatti, pur non incidendo sulla provenienza del prodotto, incide sulla qualità e sicurezza dello stesso. Il codice penale punisce chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita. La pena per tale reato è severa: scatta infatti la reclusione fino a due anni o la multa fino a 2065 euro. Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a 103 euro.
Secondo la Corte di Cassazione, integra il reato di frode nell’esercizio del commercio la detenzione di merce recante la marcatura CE (indicativa della locuzione “China Export”) apposta con caratteri tali da ingenerare nel consumatore la erronea convinzione che i prodotti rechino, invece, il marchio CE (Comunità Europea), poiché quest’ultimo ha la funzione di certificare la conformità del prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza e qualità previsti per la circolazione dei beni nel mercato europeo.
Ai fini della sussistenza del reato, rileva la semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato creando una divergenza qualitativa. Ed infatti la decettività della marcatura CE (China Export) – che si distingue da quella europea per la sola minima distanza delle due lettere – è elemento sufficiente di per sé ad ingannare il consumatore.